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È il momento giusto

Esaminiamo la performance dei titoli a bassa volatilità attraverso la lente dei cicli di mercato, offrendo il nostro punto di vista sulle prospettive di queste azioni, che a nostro avviso sono ben posizionate in vista delle prossime fasi del ciclo attuale.

Autori

James C. Fallon
Portfolio Manager

Christopher Zani, CFA
Institutional Portfolio Manager

In breve

  • La sottoperformance delle strategie a bassa volatilità rispetto agli indici ponderati per la capitalizzazione ha indotto qualcuno a chiedersi se questo stile abbia perso la sua efficacia. Tuttavia, la performance della volatilità è coerente con quella registrata in altri cicli di mercato. 
  • La nostra strategia difensiva a bassa volatilità punta ad evitare i titoli più volatili e non è dettata unicamente da un ristretto gruppo di azioni meno volatili. 
  • In un contesto di tassi più elevati, è ragionevole aspettarsi che le prospettive di una strategia a bassa volatilità siano più positive che negative.

Nel corso dell'ultimo decennio, l'approccio d'investimento a bassa volatilità è passato dall'essere un premio al rischio fattoriale accademico al rappresentare la comprensione dei fondamentali societari influenzati dai cicli di mercato. L'evidenza dimostra che, storicamente, i titoli a basso rischio hanno sovraperformato quelli ad alto rischio, benché la loro performance durante la pandemia 2020 suggerisca che tale pattern non sia uniforme. 

Questo articolo esaminerà i seguenti punti:

1) La sottoperformance degli approcci a bassa volatilità durante il surriscaldamento legato al Covid, dimostrando che gli investitori di lungo termine possono continuare a beneficiare di un'allocazione nei titoli meno rischiosi.

2) Perché l'approccio d'investimento a bassa volatilità di MFS è in grado di cogliere l'anomalia della bassa volatilità in maniera ottimale.

3) La performance dei titoli a bassa volatilità attraverso la lente dei cicli di mercato, offrendo il nostro punto di vista sulle prospettive di queste azioni.

La performance dei titoli a bassa volatilità durante il surriscaldamento legato al Covid

Benché i titoli a bassa volatilità abbiano conseguito performance straordinarie negli ultimi dieci anni, il triennio dal 2018 al 2020 ha fatto emergere l'incapacità di questo fattore di tenere il passo con gli indici ponderati per la capitalizzazione. Questi titoli non hanno fornito la protezione dai ribassi che ci si aspettava durante la correzione causata dal Covid nel 2020, inducendo gli investitori a chiedersi se questa strategia fattoriale non abbia fatto il suo corso. Iniziamo esaminando l'andamento dei titoli a bassa volatilità lungo i vari cicli di mercato per poi trarre qualche conclusione sulla recente correzione di mercato e confrontare i fondamentali dei panieri composti da titoli a bassa volatilità con quelli dei panieri di titoli ad alta volatilità.

Bassa volatilità e cicli di mercato

La sottoperformance delle strategie a bassa volatilità rispetto agli indici di mercato più ampi ponderati per la capitalizzazione nel 2020 potrebbe indurre gli investitori a chiedersi se lo stile incentrato sulla bassa volatilità abbia perso la sua efficacia e non sia, a ben vedere, un approccio fallace, benché di tendenza. Tuttavia, comparando la performance recente dei titoli a bassa volatilità con quella registrata nei cicli precedenti, possiamo osservare come le fasi iniziali dei cicli favoriscano gli asset più rischiosi. In questi contesti, i titoli a bassa volatilità tendono a sottoperformare, spesso in maniera significativa rispetto a quelli ad elevata volatilità. La sottoperformance del 2020 non è estrema come quella osservata nei primi mesi del 2009, alla fine della crisi finanziaria globale, che fu l'inizio di un ciclo che ha visto la bassa volatilità sovraperformare nelle fasi più avanzate. 

La ricerca MFS intitolata "Factor Dynamics Through the Cycle" (febbraio 2021, Morrison, Stocks, Bryant) illustra il comportamento dei fattori nelle quattro fasi di un ciclo tradizionale: ripresa, espansione, rallentamento, contrazione. L'articolo mostra come fattori quali il beta di mercato e le small cap tendano a trainare le fasi iniziali dei cicli, mentre altri quali la redditività e la bassa volatilità emergono come driver solo nelle fasi finali. In base all'analisi svolta dagli autori dei cicli di mercato statunitensi a partire dal 1989, non ci aspettiamo che la bassa volatilità sia tra le caratteristiche dei titoli che sovraperformano nelle fasi iniziali del ciclo.

La Figura 1 mette a confronto i rendimenti dei mercati rialzisti (di inizio ciclo) con quelli dei mercati ribassisti (di fine ciclo) dai periodi peggiori a quelli migliori a partire dal 1991. In ciascun mercato ribassista (area superiore del grafico), i titoli a bassa volatilità sovraperformano quelli ad alta volatilità. Per contro, nei mercati rialzisti (area inferiore del grafico), i titoli ad elevata volatilità tendono a sovraperformare, talvolta in maniera molto netta. 

L'ultimo periodo a destra dimostra che durante l'ultimo mercato rialzista (cominciato ad aprile 2020), i titoli più volatili hanno registrato una performance relativa straordinariamente solida rispetto a quelli meno volatili. Il grafico mostra agli investitori interessati alle strategie a bassa volatilità cosa aspettarsi durante le fasi iniziali e quelle avanzate dei cicli. Va sottolineato che i mercati rialzisti possono durare diversi anni, mentre quelli ribassisti sono spesso più brevi ma di portata ugualmente rilevante. Le fasi di mercato rialziste riportate nel grafico sono durate in media 40 mesi, mentre quelle ribassiste sono durate in media 14 mesi.

Cosa è successo tra febbraio e marzo 2020?
Durante le correzioni di mercato degli ultimi 30 anni, i titoli meno rischiosi hanno tendenzialmente sovraperformato gli omologhi più rischiosi in quanto gli investitori hanno abbandonato il rischio di mercato. Questa tendenza è mostrata dalla Figura 2, che riporta le sei maggiori contrazioni di mercato verificatesi a partire dal gennaio del 1990. Sebbene detenere titoli a minor rischio durante una correzione sia solitamente un modo prudente di proteggere il capitale, eventi di mercato improbabili possono talvolta ridurre il vantaggio offerto da questi titoli. Questi eventi improbabili (che si collocano sulla "coda sinistra") illustrano la tendenza degli investitori ad uscire del tutto dal mercato dopo uno spavento, indipendentemente dal profilo di rischio del titolo. 

Nella Figura 2 contestualizziamo questo tipo di eventi. La prima occorrenza risale alla crisi dei risparmi e dei prestiti dei primi anni '90; l'ultima è costituita dalla correzione causata dal Covid a inizio 2020. In entrambi i casi, gli investitori sono usciti del tutto dal mercato senza spostarsi su titoli meno rischiosi. I titoli ad alto rischio hanno subito una correzione come previsto, ma la peculiarità di questi periodi è che i titoli a basso beta non hanno fornito la protezione che i loro beta avrebbero suggerito. Questo fenomeno, detto "compressione del beta", si può osservare nelle differenze tra i rendimenti dei titoli a basso rischio (a sinistra) e ad alto rischio (a destra). Ne abbiamo parlato di recente nell'articolo MFS intitolato "Beta Compression" (gennaio 2021, Fallon, Zani, Delaney). Questi contesti di mercato sono molto rari e dipendono in larga parte da circostanze economiche eccezionali. 

Riteniamo che questo differenziale ridotto non sia qualcosa che si riscontra durante una tipica correzione, e non crediamo che questa dinamica si trasformerà in un trend regolare. Per quanto le azioni a bassa volatilità abbiano dimostrato la capacità di mitigare il rischio, vi sono stati alcuni periodi, come il 1990 e il 2020, in cui le vendite indiscriminate hanno comportato una compressione del beta che ha limitato il rendimento attivo di un portafoglio di questi titoli. Queste osservazioni suggeriscono che le conclusioni iniziali tratte sui titoli a bassa volatilità possono restare valide man mano che il ciclo si dispiega.

Le azioni a bassa volatilità sono ancora costose in termini fondamentali?
Nell'ultimo decennio, la forte domanda di queste strategie a bassa volatilità e ad alto rendimento ha spesso fatto sì che gli investitori dovessero pagare un premio valutativo per accedervi, una tendenza che ha invertito rotta negli ultimi anni. Come mostra la Figura 3, i titoli ad elevata volatilità presentano tuttora premi di negoziazione rispetto a quelli meno volatili in termini di rapporti prezzo/utili trailing. Su tale premessa, il premio valutativo offre ai titoli a rischio più basso un potenziale "margine di sicurezza".  

L'approccio d'investimento a bassa volatilità di MFS

I patrimoni degli investitori allocati in strategie a bassa volatilità sono notevolmente cresciuti nell'ultimo decennio. Tale tendenza riguarda diverse tipologie di implementazione, tra cui le strategie passive, quelle statistiche pure e quelle fondamentali. Sappiamo che, pur essendo etichettata come anomalia matematica o "fenomeno", la sovraperformance delle azioni a bassa volatilità è funzione dei driver societari fondamentali che vanno sviluppandosi nel corso del ciclo. Esaminiamo in maggior dettaglio la nostra filosofia d'investimento e spieghiamo perché un'eccessiva dipendenza da un modello di rischio o da un approccio passivo può risultare controproducente.

Le azioni a bassa volatilità non sono tutte uguali
Perché dovremmo aspettarci una ripetizione di queste tendenze in futuro? A ben guardare, la volatilità non è che una misura dei pattern di rendimento: non ci dice nulla del potenziale di lungo termine delle imprese sottostanti. Inoltre, la sovraperformance dei titoli a bassa volatilità non solo è stata bollata come anomalia ma contraddice anche la teoria molto in voga nel mondo degli affari del "no pain, no gain", ovvero il malinteso secondo cui gli investitori devono avventurarsi più in alto lungo lo spettro del rischio per conseguire rendimenti superiori. Quali prove abbiamo per confermare che questa "anomalia della bassa volatilità" perdurerà?

Esaminando la composizione fondamentale dell'universo investibile di titoli a bassa volatilità, ci rendiamo conto di come non si tratti affatto di un'anomalia. I driver fondamentali dei titoli ad alta e a bassa volatilità mostrano una distinzione tra le aziende più stabili e durature dell'universo a bassa volatilità e l'esposizione più ciclica delle azioni a maggiore volatilità. Nella Figura 4 compariamo il 40% di azioni più volatili dell'MSCI All Country World (quelle che abbiamo identificato come i titoli più ciclici che probabilmente sottoperformeranno nel lungo termine) con il 60% di azioni meno volatili. I dati mostrano che i titoli meno volatili tendono ad avere una redditività del capitale e una crescita degli utili più stabili e meno cicliche, oltre a un più solido indice di copertura degli oneri finanziari. 

In sintesi, emergeranno vincitori e vinti nel lungo termine, nonostante i trend di breve respiro che alimentano gli eccessi e il sentiment dei mercati. Riteniamo che, nel lungo termine e nei vari cicli di mercato, la presenza di fondamentali più robusti aiuterà a identificare i vincitori. L'universo a bassa volatilità tende a contraddistinguersi per una maggiore stabilità dei fondamentali.

Questo non significa che tale universo non comprenda una certa percentuale di aziende e idee d'investimento più deboli, ma fa capire quanto sia importante evitare società passibili di sottoperformare e non esporre gli investitori a brusche contrazioni di mercato.

Perché evitare le azioni ad elevata volatilità?

Gli investitori in cerca di gestori che offrono strategie a bassa volatilità devono scegliere tra un'infinità di alternative. Alcune strategie puntano a replicare il più possibile un indice "minimum volatility", mentre altre cercano di creare il portafoglio con il minor rischio possibile. Ad MFS adottiamo un approccio alternativo basato sul grafico di dispersione riportato nella Figura 5, che mostra il rendimento annualizzato equiponderato (asse delle y) di un universo globale di azioni investibili suddiviso per decili calcolati in base alla volatilità a 24 mesi (asse delle x). 

La nostra filosofia d'investimento poggia sulla convinzione che l'obiettivo primario di una strategia difensiva a bassa volatilità consista nell'evitare i titoli più volatili, ma non è determinata unicamente dalla coda meno volatile del 10-20% di titoli. Questa sottile ma cruciale distinzione ci consente di operare con maggiore flessibilità quando costruiamo i portafogli dei clienti, dotandoli di una maggiore esposizione ai nostri input sia fondamentali che quantitativi, al contempo riducendo la volatilità assoluta complessiva. Rende inoltre possibile un approccio ampio alla diversificazione su più idee d'investimento valide, evitando i trend d'investimento passibili di danneggiare i clienti nel lungo termine, come l'effetto gregge o comportamenti gregari.

I limiti dei modelli di rischio
Le strategie a bassa volatilità puntano ad essere "meno rischiose" dei benchmark ponderati per la capitalizzazione, e per farlo devono spesso essere ottimizzate rispetto a un livello di rischio ex-ante (stimato) inferiore a quello del benchmark. Pur ritenendo che un approccio basato sul rischio ex-ante sia una componente del processo complessivo di costruzione di una strategia, non lo vediamo come l'unica definizione di "rischio" possibile, in quanto i modelli di rischio tendono a sovra o sottostimare il rischio in base agli accadimenti più recenti. Il rischio presenta un alto grado di autocorrelazione, pertanto la migliore stima del rischio corrente è quanto verificatosi più di recente. Questa stima si basa prevalentemente sul rischio storico, che tuttavia sappiamo non essere in grado di fornire una stima accurata in presenza di inflessioni di mercato innescate da shock inattesi.

La Figura 6 aiuta a visualizzare questa dinamica così come si è manifestata nei mercati globali nell'arco degli ultimi 20 anni, tracciando il rischio ex-ante dell'indice MSCI ACWI (sx) insieme alla deviazione standard ex-post realizzata dei rendimenti nei successivi 12 mesi (sx). Compito di un modello di rischio è dimostrare quali rischi futuri potrebbero sussistere. Per questo motivo, confrontiamo i rischi futuri realizzati con le valutazioni correnti del rischio. Prima di una correzione o uno shock di mercato importante, i modelli di rischio tendono a sottostimare il rischio. Ciò è visibile nelle aree grigie, in cui il rischio ex-ante è basso e il rischio ex-post (realizzato) è elevato. Nelle aree azzurre vediamo come dopo un forte shock di mercato i modelli di rischio spesso correggano per eccesso le stime del rischio (il rischio stimato supera il rischio realizzato), di fatto chiudendo la stalla dopo che i buoi sono scappati.

Crediamo che i modelli di rischio siano uno strumento utile per valutare il rischio e costruire i portafogli, ma non l'unico possibile, in quanto la fragilità della matrice di covarianza rende difficile anticipare il rischio. Pertanto, non ci limitiamo a ottimizzare i portafogli rispetto a un obiettivo di volatilità ex-ante assoluto ma valutiamo i rischi di portafoglio adottando molteplici punti di vista, tra cui la partecipazione ai rialzi e ai ribassi e l'indice di Sortino (deviazione standard dei rendimenti negativi).

I limiti delle implementazioni passive

Il dibattito investimento attivo contro investimento passivo nell'universo dei prodotti ponderati in base alla capitalizzazione di mercato va avanti da tempo immemore. Anche l'investimento a bassa volatilità vede la contrapposizione tra due scuole di pensiero diverse. Il principale fornitore di indici resta MSCI con la sua famiglia di prodotti "minimum volatility". Il punto di partenza per la loro costruzione è l'indice ponderato per la capitalizzazione pertinente. Successivamente, i prodotti vengono ottimizzati utilizzando il modello GEM LT di Barra (per i prodotti globali) al fine di contenere al minimo la covarianza del portafoglio rispettando un vincolo geografico e settoriale del 5%.  

Nel riesaminare questa metodologia per soppesare i vantaggi di un'implementazione passiva rispetto a una strategia attiva, rileviamo tre limiti potenziali. 

Il primo è proprio il punto di partenza: l'ossatura dell'intera strategia è l'indice ponderato per la capitalizzazione pertinente. Benché il processo di ottimizzazione non selezionerà titoli intrinsecamente molto volatili, è possibile che alcuni titoli a maggiore volatilità finiscano col confluire nell'indice "minimum volatility" semplicemente in virtù di una covarianza negativa. 

Il secondo limite dell'approccio passivo è l'eccessivo affidamento su modelli di rischio retrospettivi, che tendono a sovra e sottostimare i rischi in momenti diversi del ciclo economico. Noi crediamo che un approccio più olistico al rischio, che guardi non solo alla correlazione di un titolo ma anche al suo profilo fondamentale, sia preferibile a una prospettiva puramente statistica.

Il terzo problema posto dall'approccio passivo è la frequenza del ribilanciamento. Il rischio è sempre una variabile dinamica e fluida, e può subire variazioni estremamente frequenti. I gestori attivi che hanno la capacità e la libertà di riposizionare i portafogli prima che si verifichino eventi idiosincratici su larga scala possono ammortizzare la volatilità più a lungo termine invece di dover mantenere quei titoli fino alla successiva data di ribilanciamento. Una strategia che effettua il ribilanciamento una o due volte l'anno può lasciare gli investitori esposti a investimenti subottimali per periodi di tempo prolungati.

Che cosa riserva il futuro agli approcci d'investimento a bassa volatilità?

In futuro sarà importante comprendere più a fondo il profilo di rendimento di una strategia d'investimento incentrata sui titoli meno rischiosi. Nella sua forma più pura la bassa volatilità è un premio di mercato, al pari dei fattori value, growth o small cap, e come tale la performance relativa dipende dal punto del ciclo economico in cui ci si trova. Nel nostro articolo intitolato "Factor Dynamics Through the Cycle", definiamo quattro diversi cicli di mercato in base agli indicatori economici anticipatori dell'OCSE. Come mostra la Figura 7, i momenti peggiori per detenere titoli a bassa volatilità come premi di mercato sono le fasi di ripresa ed espansione. Ed è logico che sia così, in quanto le fasi di ripresa tendono a favorire il rischio elevato e quelle di espansione a concentrarsi sui settori ciclici legati alle aziende dei materiali e dell'energia. Ciò aiuta anche a contestualizzare la performance registrata dalle strategie a bassa volatilità nel 2020, che ha indotto gli investitori a chiedersi se questo stile avesse smesso di funzionare. Noi siamo dell'avviso che non abbia mai smesso di funzionare. Semplicemente, stava comportandosi come da previsioni durante quella fase del ciclo in cui i premi di mercato non danno buoni frutti.

La domanda logicamente successiva riguarda le performance future che prevediamo per le azioni a bassa volatilità. Ancora una volta, rimandiamo al nostro articolo sui cicli come quadro concettuale per comprendere i possibili esiti. Uscendo dalla crisi pandemica con misure straordinarie implementate dalle autorità fiscali e monetarie, il passaggio alla fase di espansione è avvenuto rapidamente. Da allora l'impatto dell'inflazione elevata e del rallentamento dell'attività economica globale ha determinato il passaggio dalla fase di rallentamento a quella di recessione. Le azioni a bassa volatilità hanno espresso una buona performance in tale contesto, in linea con l'andamento tipicamente registrato in passato. Qualora il rallentamento dovesse perdurare, le prospettive di una strategia a bassa volatilità dovrebbero continuare ad essere più positive che negative.

Perché oggi gli investitori dovrebbero considerare un'allocazione a bassa volatilità?

I cicli in cui la Federal Reserve ha alzato il tasso sui Fed Fund di almeno 300 punti base, seguiti da un periodo in cui i tassi sono stati nettamente ridotti, hanno coinciso con periodi turbolenti per i mercati azionari. Come mostra il grafico sottostante, in quattro degli ultimi cinque periodi i mercati hanno evidenziato forti correzioni nelle ultimi fasi di questi cicli: tipicamente in prossimità del momento in cui la Fed ha ridotto i tassi. Il quinto periodo ha avuto una durata relativamente più breve, ma è stato anche caratterizzato da volatilità. Come mostra il grafico, è importante notare che prevedere con esattezza le tempistiche di questi cicli può essere difficile, e che alcuni di essi sono durati anni. Si consideri che questo ciclo è stato preceduto da tassi eccezionalmente bassi in termini storici, e da politiche di stimolo eccezionalmente forti, e che l'inflazione è stata più elevata rispetto a tutti gli altri periodi. Stabilizzare un'allocazione azionaria attraverso la bassa volatilità può contribuire a contrastare una parte dell'incertezza durante quello che si rivelerà probabilmente un contesto volatile per le azioni. 

Conclusioni

La sottoperformance delle azioni a bassa volatilità nel 2020 può aver indotto gli investitori a mettere in dubbio le proprie allocazioni attuali o potenziali, ma la nostra analisi mostra che la tesi d'investimento a favore delle strategie a bassa volatilità resta intatta. 

  • Il rischio è molto di più della sola deviazione standard dei rendimenti, e comprendere la maggiore stabilità e la minore ciclicità dei fondamentali dei titoli a bassa volatilità può giocare un ruolo cruciale nel ridurre l'impatto dei mercati ribassisti. 
  • I titoli a bassa volatilità presentano valutazioni più convenienti rispetto a quelli più volatili, il che suggerisce un interessante punto d'ingresso per questo stile d'investimento. 
  • I giorni delle politiche di tassi d'interesse a zero delle banche centrali sembrano ormai lontani, il che lascia i mercati in preda all'incertezza e alla volatilità. Per i titoli con utili negativi e maggiore volatilità, che hanno registrato buone performance in un contesto di bassi tassi d'interesse, il futuro si preannuncia difficile. 

A nostro avviso, le strategie a bassa volatilità a gestione attiva possono fare molto per contenere al minimo la volatilità e offrire migliori risultati agli investitori. Applicare la ricerca fondamentale e quantitativa per identificare e diversificare lungo un insieme di idee d'investimento valide — e usare criteri collaudati come la disciplina di valutazione e la qualità — fa della gestione attiva lo strumento migliore per affrontare i mercati volatili. 

 

 

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